Il fiume Massacre segna il confine tra Haiti (Ouanaminthe) e la Repubblica Dominicana (Dajabon) nel nord-ovest dell'isola, ma i due paesi pur condividendo l'isola sono profondamente divisi. I Dominicani sono latini, parlano spagnolo e si vantano delle loro radici occidentali, mentre gli haitiani parlano il creolo e sono in gran parte discendenti degli schiavi africani.
Le tensioni tra i due paesi risalgono a molti anni fa e uno degli episodi più sanguinosi accaduti durante il regime di Rafael Trujillo (1930-1961) culminò, 80 anni fa, nell'ordine brutale di Trujillo di un massacro haitiano (dove più di 25.000 haitiani fuori dalle piantagioni di zucchero furono uccise) noto come "Il massacro del prezzemolo". Il fiume - che è così chiamato non per questo episodio, ma per un evento sanguinoso accaduto molto prima del 1937 - è stato il luogo in cui migliaia di corpi haitiani sono stati trovati, uccisi mentre cercavano di fuggire e rientrare nel loro paese. Questa profonda ferita non è mai stata sanata e le relazioni tra i due paesi sono continuamente molto tese.
Agli inizi del 1900, i tagliatori di canna da zucchero haitiani, attirati dalla promessa di lavoro, iniziarono la migrazione stagionale nella Repubblica Dominicana, gli haitiani erano disposti a fare questo duro lavoro a basso salario e in condizioni di vita precarie, cosa che la maggior parte dei dominicani rifiutava. Nel corso dei decenni, molti di questi lavoratori non sono tornati ad Haiti alla fine della stagione della raccolta della canna, creando così una grande popolazione permanente di Haitiani nella Repubblica Dominicana. Una popolazione che, fin dagli inizi, non è stata accolta favorevolmente. Dalla metà degli anni '60 il Governo Dominicano costruì dei villaggi, poco più di baracche fatiscenti, intorno alle piantagioni di canna da zucchero. Durante la fine degli anni '60, '70 e '80, i tagliatori di canna da zucchero haitiani furono confinati in questi bateyes sotto l'occhio attento dei soldati del governo. I loro beni furono confiscati e furono costretti a lavorare nei campi con turni massacranti, spesso lavorando dal sole fino al tramonto. Negli anni '90, i bateyes erano diventati la dimora di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini - haitiani di seconda e terza generazione nati nella Repubblica Dominicana, ma senza lo status di cittadinanza legale e senza legami con la terre di origine dei loro padri, Haiti. Fondamentalmente sono diventati un popolo senza un paese. Oggi i bateys sono la casa di circa 500.000 haitiani e vivono ancora nella stessa cattiva situazione di quando furono eretti. La maggior parte non ha latrine, elettricità, acqua potabile, non ci sono scuole e assistenza sanitaria.
Haiti è sempre stata la parte povera dell'isola Hispaniola, spingendo molti giovani ad emigrare nella Repubblica Dominicana. La crisi economica internazionale degli ultimi anni e lo spostamento del centro di gravità nella coltivazione della canna nell'America del Sud hanno anche pesantemente influenzato il tessuto economico della Repubblica Dominicana e hanno fortemente aggravato i rapporti tra i due popoli. I Dominicani hanno da sempre attribuito la responsabilità di tutti i loro mali agli immigrati haitiani. Questa atteggiamento, spesso sfociato in veri e propri atti di razzismo, si è acuito con una sentenza assai polemica e controversa, emessa nel settembre del 2013 dal Governo Dominicano: la Corte Costituzionale ha abolito lo ius soli come criterio valido all’acquisizione della cittadinanza e ha applicato tale nuova normativa in modo retroattivo a partire dal 1929. Un provvedimento atto a far perdere la nazionalità a oltre 200mila persone, soprattutto di origine haitiana, che da un giorno all’altro sono precipitate in uno stato di apolidia perdendo di fatto qualsiasi forma di diritti civile: dal lavoro alla sanità, dall'assistenza medica alla scuola.
La dura reazione della comunità internazionale, preoccupata per tale scandalo giuridico privo di precedenti e unanimemente considerato come altamente discriminatorio su base razzista, ha costretto il governo dominicano ad attivare un piano di regolarizzazione degli stranieri che, tuttavia, si è presto rivelato una vera e propria messinscena. Così, tra il giugno del 2015 – scaduto il termine ultimo per presentare la domanda – e il maggio 2016, secondo i dati forniti da Amnesty International, oltre 100mila persone sarebbero state rimpatriate ad Haiti tra minacce, violenze e deportazioni di massa. Questa legge, sotto anche le pressioni della Comunità Europea, è stata congelata fino al 2018 e così molti immigrati haitiani che continuano a vivere nei bateys, anche se privi dei documenti, nel terrore che un giorno, da un momento all’altro, possa arrivare il loro turno e siano costrette così a lasciare la Repubblica Dominicana per “tornare” in una terra che spesso non hanno mai conosciuto e della quale non conoscono neppure la lingua.
Le tensioni tra i due paesi risalgono a molti anni fa e uno degli episodi più sanguinosi accaduti durante il regime di Rafael Trujillo (1930-1961) culminò, 80 anni fa, nell'ordine brutale di Trujillo di un massacro haitiano (dove più di 25.000 haitiani fuori dalle piantagioni di zucchero furono uccise) noto come "Il massacro del prezzemolo". Il fiume - che è così chiamato non per questo episodio, ma per un evento sanguinoso accaduto molto prima del 1937 - è stato il luogo in cui migliaia di corpi haitiani sono stati trovati, uccisi mentre cercavano di fuggire e rientrare nel loro paese. Questa profonda ferita non è mai stata sanata e le relazioni tra i due paesi sono continuamente molto tese.
Agli inizi del 1900, i tagliatori di canna da zucchero haitiani, attirati dalla promessa di lavoro, iniziarono la migrazione stagionale nella Repubblica Dominicana, gli haitiani erano disposti a fare questo duro lavoro a basso salario e in condizioni di vita precarie, cosa che la maggior parte dei dominicani rifiutava. Nel corso dei decenni, molti di questi lavoratori non sono tornati ad Haiti alla fine della stagione della raccolta della canna, creando così una grande popolazione permanente di Haitiani nella Repubblica Dominicana. Una popolazione che, fin dagli inizi, non è stata accolta favorevolmente. Dalla metà degli anni '60 il Governo Dominicano costruì dei villaggi, poco più di baracche fatiscenti, intorno alle piantagioni di canna da zucchero. Durante la fine degli anni '60, '70 e '80, i tagliatori di canna da zucchero haitiani furono confinati in questi bateyes sotto l'occhio attento dei soldati del governo. I loro beni furono confiscati e furono costretti a lavorare nei campi con turni massacranti, spesso lavorando dal sole fino al tramonto. Negli anni '90, i bateyes erano diventati la dimora di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini - haitiani di seconda e terza generazione nati nella Repubblica Dominicana, ma senza lo status di cittadinanza legale e senza legami con la terre di origine dei loro padri, Haiti. Fondamentalmente sono diventati un popolo senza un paese. Oggi i bateys sono la casa di circa 500.000 haitiani e vivono ancora nella stessa cattiva situazione di quando furono eretti. La maggior parte non ha latrine, elettricità, acqua potabile, non ci sono scuole e assistenza sanitaria.
Haiti è sempre stata la parte povera dell'isola Hispaniola, spingendo molti giovani ad emigrare nella Repubblica Dominicana. La crisi economica internazionale degli ultimi anni e lo spostamento del centro di gravità nella coltivazione della canna nell'America del Sud hanno anche pesantemente influenzato il tessuto economico della Repubblica Dominicana e hanno fortemente aggravato i rapporti tra i due popoli. I Dominicani hanno da sempre attribuito la responsabilità di tutti i loro mali agli immigrati haitiani. Questa atteggiamento, spesso sfociato in veri e propri atti di razzismo, si è acuito con una sentenza assai polemica e controversa, emessa nel settembre del 2013 dal Governo Dominicano: la Corte Costituzionale ha abolito lo ius soli come criterio valido all’acquisizione della cittadinanza e ha applicato tale nuova normativa in modo retroattivo a partire dal 1929. Un provvedimento atto a far perdere la nazionalità a oltre 200mila persone, soprattutto di origine haitiana, che da un giorno all’altro sono precipitate in uno stato di apolidia perdendo di fatto qualsiasi forma di diritti civile: dal lavoro alla sanità, dall'assistenza medica alla scuola.
La dura reazione della comunità internazionale, preoccupata per tale scandalo giuridico privo di precedenti e unanimemente considerato come altamente discriminatorio su base razzista, ha costretto il governo dominicano ad attivare un piano di regolarizzazione degli stranieri che, tuttavia, si è presto rivelato una vera e propria messinscena. Così, tra il giugno del 2015 – scaduto il termine ultimo per presentare la domanda – e il maggio 2016, secondo i dati forniti da Amnesty International, oltre 100mila persone sarebbero state rimpatriate ad Haiti tra minacce, violenze e deportazioni di massa. Questa legge, sotto anche le pressioni della Comunità Europea, è stata congelata fino al 2018 e così molti immigrati haitiani che continuano a vivere nei bateys, anche se privi dei documenti, nel terrore che un giorno, da un momento all’altro, possa arrivare il loro turno e siano costrette così a lasciare la Repubblica Dominicana per “tornare” in una terra che spesso non hanno mai conosciuto e della quale non conoscono neppure la lingua.